senza nome, su un’isola dove tutti conoscevano anche il nome dell’ultimo cane e dei minuscoli pescherecci – una speranza che sarebbe stato possibile aprire un varco in quel mondo, in quelle vite.
“Un giorno quando farò i soldi a New York, mi costruirò una villa proprio quassù, talmente vicina al bordo che quando ti affacci vedi solo il mare,” dichiarò Edwin una notte. Erano le tre, se ne stavano sdraiati sulla sabbia ai piedi della scogliera con il volume della radio al minimo.
“I soldi,” sbottò Don. “Amico, non dire cazzate. Tu non ci vai mica a New York.”
“Vaffanculo, Don. Comunque, sapete che vi dico? Quando starò a Brooklyn e voi vivrete ancora con le vostre mammine, sarà meglio che non vi aspettate niente di niente da me!”
“Vedremo di ricordarcelo,” disse Damien.
“Ma poi che ci vai a fare a New York?” domandò Don. “Perché stare lì a congelarti la verga mentre fai un lavoro di merda invece di stare qui al calduccio?”
“E nel giorno libero cazzeggiare con noi a Little Beach?” aggiunse Des.
“E con i nostri marmocchi,” sussurrò Clive. Era così fatto che le sue stesse parole gli soffiavano sulla pelle come vento.
“Con i marmocchi,” ansimò Don, schiaffeggiandosi il ginocchio. “Ma di che cazzo parli, bello?”
“No, no, ha ragione!” gridò Des. “Goges c’ha preso. Noi ce la godiamo all’ombra con un po’ di rum, mentre le nostre mogliettine ciarlano e i nostri figli giocano a cricket sulla sabbia.”
Per un attimo restarono in silenzio, la scena appena descritta da Des sembrò materializzarsi sopra di loro nell’oscurità del cielo.
“Le mogliettine che rompono e i bambini che frignano, vorrai dire,” commentò Edwin. “Comunque, a New York non farò un lavoro di merda. Ho già i miei piani, che vi credete?”
“Sentito, soci?” disse Don. “Edwin diventerà un pezzo grosso! Che mi credo? Credo che dici solo un sacco di stronzate. Credo che fra dieci anni vivrai ancora con quelle ciccione delle tue sorelle. Credo che ci morirai in questo posto, come tutti noi. Tranne il Doc, qui.”
Damien sorrise con umiltà. Era sveglio, così sveglio che riusciva a far baldoria con loro ogni sera ed essere allo stesso tempo tra i migliori della classe. Anche se lo prendevano in giro per questo, erano fieri che fosse dei loro.
“Che cazzo ne sai tu?” incalzò Edwin. “Me ne andrò anche a nuoto da quest’isola, fattene una ragione. E Gogo verrà con me.”
“Non so nuotare,” disse Clive.
“Sii ottimista,” minimizzò Edwin. “Galleggerai.” Gli pizzicò il grasso sulla spalla.
“Merda, è tardi,” disse Keithley. “Dobbiamo rientrare.”
Raccattarono le loro cose, guadarono fino alla barca e navigarono sul mare calmo fino a Salvation Point. Clive, troppo fatto per sedersi, si sdraiò sulla carena e lasciò che il vento gli soffiasse sugli occhi spalancati a fissare il cielo. New York era il sogno di Edwin e, benché ne parlasse come di una meta che avrebbero raggiunto insieme, a Clive suonava improbabile; anzi, la smania di Edwin di traferirsi a New York gli lasciava presagire un futuro in cui lui sarebbe stato dimenticato – sull’isola e nel passato.
Finché sua nonna non andò a svegliarlo, l’indomani, sentì per ore le dita di Edwin che gli pizzicavano la spalla, come il fantasma di qualcuno che se n’è già andato.
“Stasera si va a Faraway,” annunciò Keithley una sera, mentre la barca si allontanava a tutta birra dalla costa.
“Non possiamo,” si lasciò sfuggire Clive, incapace di trattenersi.
“E perché no?” domandò Keithley.
Clive abbassò lo sguardo. “Lo sai perché,” mormorò. Aveva in mente lei – i capelli neri che le nascondevano il volto. Gli zoccoli al posto dei piedi.
Keithley batteva le mani divertito. “Goges, bello, non mi dire che credi ancora a quella cazzata da vecchi?”
“Ma la mia prozia è scomparsa proprio lì!”
“E chi non ce l’ha una prozia che è scomparsa proprio lì?” domandò Des.
“Stai sereno, Gogo. Se ti trasforma in una capra, ti troveremo un bel posticino nel cortile di mia madre,” disse Don.
“E poi, se proprio quella troietta deve scegliere uno di noi da adescare, quello sarò io,” aggiunse Edwin.
“Ma davvero?” incalzò Damien.
“Che ci posso fare se sono un bel bocconcino?”
Quando Keithley rallentò e condusse la barca a riva, Clive venne colto da un’inquietudine impossibile da arginare. Uno alla volta, gli altri scesero dalla scaletta e saltarono nell’acqua. Arrivato il suo turno, Clive non riusciva a muoversi.
Poi sentì la voce di Edwin all’orecchio. “Va tutto bene, amico.”
“Ma mia madre…”
Sapeva che avrebbe dovuto smettere di crederci, ma non riusciva a dimenticare quella storia. Era tutto ciò che gli restava di lei, era l’orologio da taschino, la Bibbia, il ricciolo di capelli