si fiondavano in strada, lanciando in aria le pagnotte bollenti.
In quinta elementare, spesso pedalavano fino alla spiaggia che dopo qualche anno sarebbe diventata l’Indigo Bay. All’epoca era ancora selvaggia. La terra era disseminata di alberi di prugna indiana e loro ne raccoglievano i frutti, ma solo uno su dieci era dolce. La spiaggia puzzava di alghe e tra le alghe c’erano un mucchio di schifezze – aghi e preservativi che raccoglievano con dei rametti e si lanciavano addosso. A volte trovavano due froci distesi sulla sabbia. Li spiavano e poi Edwin urlava: “Via!” e iniziavano a correre come matti e a inseguirli.
Scavalcavano la rete metallica e si arrampicavano sulla torre radio dell’isola, una struttura pericolante che perdeva scaglie di vernice rossa. Clive era a un quarto della salita, molto più indietro dei suoi amici, quando Edwin gli urlò: “Guarda laggiù, bello. A che serve fare tanta fatica se poi non ti godi il panorama?” Clive si aggrappò al piolo metallico più forte che poteva e alzò la testa. Non si dimenticò mai più di quello che vide. Riusciva a distinguere Mayfair Road che dalla Horatio Byrd si snodava oltre il palazzo rosa del governatore e la prigione verdeazzurra; il mare intorno all’isola si apriva in un ventaglio di sfumature sempre più intense – da un verde chiaro, lattiginoso come le cataratte di Claude Félix, a un turchese brillante e a un azzurro intenso, fulgido. Strizzando gli occhi, poteva distinguere Bendy Harbour – era poco più che un profilo, un abbozzo di case, e tra quelle c’era stata la sua. Tutta la sua vita distesa davanti a sé – passato, presente, futuro – un’immagine talmente vivida che gli venne voglia di raccoglierla come si fa con una moneta e custodirla in tasca per sempre.
Quando avevano tredici anni sull’isola inaugurarono il primo cinema, e Edwin e Clive presero il vizio di svignarsela dalla scuola media Everett Lyle per godersi gli spettacoli mattutini. Iniziata la proiezione, aspettavano cinque minuti e, calato il buio in sala, si intrufolavano dalla porta laterale stando all’erta casomai Wilmot, il vecchio addetto alla biglietteria, avesse perlustrato le corsie con la torcia. Il cinema proiettava sia vecchi film – perlopiù western e kung fu – che nuove uscite. Spesso si imbucavano alla proiezione di un film già visto, cronometrando il tempo per essere certi di beccare proprio le loro scene preferite. Clive conosceva a memoria Il cavaliere pallido, L’urlo di Chen terrorizza anche l’Occidente e Ghostbusters. Ogni tanto scopriva che Edwin se l’era filata senza di lui, ma tanto già sapeva che era seduto in quel forno di sala, puzzolente di popcorn raffermi e sudore, a guardare E.T. che sfrecciava in bici con la luna piena sullo sfondo per la quarta, quinta, dodicesima volta.
Capitava spesso che i film arrivassero sull’isola anche più di un anno dopo l’uscita in America. Clive non ne faceva una tragedia. Praticamente tutto ci metteva più tempo a raggiungere l’isola. I giornali arrivavano con una settimana di ritardo, passando per Saint Kitts e per la Giamaica. Alla TV davano Bonanza e Strega per amore e The Beverly Hillbillies.
Edwin, invece, non si dava pace.
“Quando date Rocky IV?” domandò una volta a Wilmot mentre uscivano dal cinema.
“E voi due che ci fate qui senza biglietto?”
“Ti ho fatto una domanda. Rocky IV è uscito da otto mesi. Quando lo date?”
“Quando vedrai la locandina. Che ti credevi?”
“E dai, bello! Già fa schifo vivere in un posto dimenticato da tutti. Ci tocca anche vivere in ritardo?”
All’inizio, Clive guardava con sospetto all’amicizia di Edwin. Perché proprio lui? Edwin avrebbe potuto scegliere altri ragazzi. Arthur, per esempio, non era per niente in gamba ed era pure un lecchino patentato, ma era comunque mille volte meglio di lui e, inoltre, aveva dalla sua il negozio di alimentari del padre con la televisione satellitare sul retro. Ma Edwin non aveva scelto Arthur. (Nessuno aveva scelto Arthur che, per motivi misteriosi, era stato esiliato dal regno dell’amicizia.) Forse Edwin lo aveva preferito solo per la stazza – magari cercava un protettore, uno scagnozzo. O magari la scelta era ricaduta su Clive perché era mite e assecondava sempre i piani di Edwin. Nonostante i dubbi, Clive sentiva che il vero motivo aveva radici più profonde. In fin dei conti, l’amicizia non è qualcosa che puoi spiegare. È una specie di magia. O scatta o non scatta. Edwin aveva deciso che dovevano essere amici, amen, e Clive gliene era grato.
Molti anni dopo, seduto al tavolo di in un piccolo ristorante in una città respingente, mentre la neve