in qualcuno che non avrei mai immaginato.
In breve, in quei giorni approdai a una consapevolezza spaventosa. La consapevolezza che non sarei più stata al sicuro; anzi, non lo ero stata neanche una volta in tutta la mia vita, ma fino a quel momento non lo avevo mai saputo perché avevo una fiducia cieca nella protezione dei miei genitori.
Il capo della polizia interrogò anche a me. Mio padre mi fece sedere sulle sue gambe e mia madre mi spiegò che uno dei gentili signori impegnati nelle ricerche di Alison voleva parlarmi. Quello fu il primo momento in cui iniziai sul serio ad aver paura per mia sorella. Mi resi conto che se la polizia chiedeva aiuto a una bambina, allora qualcosa doveva essere andato storto. Sentivo un pizzicore familiare sulla punta delle dita, e mentre sedevo in braccio a mio padre iniziai a tratteggiare lettere a mezz’aria. A-L-I-S…
Mamma mi afferrò la mano, immobilizzandola. “Smettila, Clairey. Ti prego. È importante.”
All’epoca della nostra vacanza di famiglia, avevo sviluppato quella pulsione da un anno. Non saprei spiegare come e perché sia iniziata. Sentivo una parola e avvertivo il bisogno impellente di scriverla nell’aria. Quando mi lasciò la mano, irrigidii le dita per contrastare quell’urgenza – il nome di mia sorella mi vibrava nelle ossa, desideroso di liberarsi. Alison. Alison. Alison.
Il capo della polizia mi sorrise. Io mi allontanai. Non mi piaceva quando gli sconosciuti mi sorridevano. Mi domandò se sapessi niente sulle attività di mia sorella, se per caso avevo notato qualcosa di strano.
Cosa sapevo? Sapevo che entrava e usciva, era con me e poi mi lasciava sola. Sapevo che gli sguardi la seguivano ovunque. Ma non dissi niente e affondai il viso contro il petto di mio padre. Lui abbozzò un sorriso e mi disse che ero stata bravissima, coraggiosa, ma non me la bevevo nemmeno a quell’età. Mi portarono una coppa di gelato alla vaniglia con una ciliegia al maraschino. Detestavo quel gocciolio rosso vivo sul gelato, ma mangiai lo stesso.
Al terzo giorno dalla scomparsa di Alison, papà annunciò con allegria forzata che mi avrebbe portato a nuotare. Ero rimasta chiusa in camera per tutto quel tempo, magari era convinto che mi avrebbe fatto bene. Indossai il costume, allacciai i sandali di gomma e uscimmo. Quando fummo sulla pedana di marmo che circondava la piscina, tra gli altri ospiti calò il silenzio. Notai le loro occhiate e mi mancò il respiro. Ebbi il chiaro sentore che sapessero cose di cui noi non eravamo a conoscenza ma che, se ci avessero guardato abbastanza a lungo, le avremmo scoperte.
“Va tutto bene,” disse mio padre, sospingendomi in avanti.
Non restammo in acqua per molto, venti minuti al massimo. Papà mi prese tra le braccia e mi lanciò in aria. Facemmo una gara a chi arrivava prima. Ci esibimmo in capriole e verticali sott’acqua – lui eseguì un plank elegante, le dita dei piedi puntate sul fondale. Solo adesso capisco che quello era un tentativo di riavvolgere il tempo. Se avessimo dimenticato gli eventi di cui iniziavamo a prendere coscienza, forse saremmo ritornati ai giorni in cui quella era solo una vacanza. Usciti dall’acqua, mamma mi avvolse in un morbido telo bianco. “Ma guardati, scimmietta di mare,” avrebbe detto Alison.
Qualche ora più tardi, bussarono alla porta. Mio padre andò ad aprire, e vidi il capo della polizia fermo immobile nella sua uniforme con le spalline intrecciate. Dopo aver messo su un cartone animato, i miei lo seguirono in corridoio. Poi devono avermi detto quello che avevano appena saputo: che Alison era stata ritrovata, e che era morta. Ma quella parte non me la ricordo. Mi ricordo quelle spalline, però, che sembravano uscite da una bellissima favola.
Ecco cosa sappiamo sulla notte in cui Alison è scomparsa. Alle otto di sera circa, incontra il ragazzo biondo in piscina, fatto confermato dall’addetto alla sicurezza Harold Moses. Si dirigono verso il parcheggio dello staff dove fumano una canna. Alle otto e mezza, il ragazzo arriva al bar dell’albergo da solo. Intorno alle dieci e un quarto, Alison ritorna al parcheggio, dove Edwin Hastie e Clive Richardson la aspettano nella macchina di Hastie, una Vauxhall Astra del 1980 color melanzana, e i tre attraversano l’isola diretti alla capitale The Basin. Trascorrono due ore in una bettola chiamata Da Paulette, dove mia sorella viene vista fumare erba, bere rum e ballare con i due. Secondo diversi avventori del locale, Alison va via con loro intorno a mezzanotte e mezza.
All’una e quaranta, l’agente Roy Cannadine fa accostare la Vauxhall Astra su Mayfair Road per