non aveva a che fare con Cody, in realtà, ma con l’amore di sua madre. Arrivato il mio turno, dissi che avrei ricordato quanto gli piaceva cantare. Tutti i giorni, durante l’ora di musica, Cody strillava e mugolava sulle note di Funga Alafia o Erie Canal song, versi agghiaccianti di pura gioia. A dire il vero non lo avrei ricordato con particolare affetto, ma capii dove voleva andare a parare la signorina D’Elia. Dopo ci lesse un libro illustrato, una parabola sul lutto di una famiglia di topolini dopo che un gatto ha divorato uno di loro, e la faccenda si chiuse lì.
La verità è che la morte di Cody Lundgren fu un sollievo per me. Quando qualcuno moriva, non lo avresti rivisto mai più, e mi sentivo rincuorata al pensiero di non rivedere mai più Cody e di non sentirne più le urla e i gorgoglii che mi turbavano tanto.
Qualche mese dopo, al supermercato, io e mia madre c’imbattemmo nella mamma di Cody. La signora Lundgren era alta, aveva i capelli neri e setosi, ed era molto più bella delle altre mamme che conoscevo, non avevo idea che una mamma potesse essere tanto bella.
“Ma guarda quanto sei cresciuta!” esclamò. Aveva un sorriso così rigido e disperato che cercai la mano di mia madre neanche fossi una poppante. Uscii dal supermercato con il magone allo stomaco, scossa da un’emozione così inedita che faticavo a decifrarla, ma con il senno di poi so che era vergogna.
Quella era stata la mia unica esperienza con la morte prima che il corpo di mia sorella venisse recuperato su un isolotto sperduto dei Caraibi, ormai tanti anni fa. Ripensandoci, le cose che ricordo con maggior precisione dei giorni successivi alla scomparsa di Alison, e fino al ritrovamento, sono del tutto irrilevanti. Ricordo ad esempio la fame patita il primo giorno, quando i miei si dimenticarono della colazione e del pranzo, e di quanto mi autocommiserai con la stessa banalità con cui ogni bambina si autocommisera vedendosi trascurata a causa del turbinio di attenzioni riservate a sua sorella. Ricordo che mi chiusi in bagno per azzannare una barretta di cioccolato e una confezione di frutta secca sgraffignate al minibar. Mi nascosi perché volevo sapere quanto tempo sarebbe passato prima che si ricordassero di darmi da mangiare, così avrei capito fin dove si spingeva la loro negligenza. Ma poi devono essersene resi conto, perché ho un ricordo distinto anche di tutte le pietanze del servizio in camera che ordinarono per rimpinzarmi o calmarmi o distrarmi (non saprei come definirlo) nei giorni successivi – cheeseburger e patatine e gelati, una teglia di pizza tutta per me con deliziose fettine di salame piccante. Pulivo il piatto a ogni portata; di certo pensavano che il mio appetito non fosse stato minimamente intaccato dagli eventi, dato che ero troppo piccola per comprendere la gravità della situazione, ma le cose non stavano proprio così. Ero terrorizzata, e non perché temessi per la vita di Alison. Anche se intorno a me erano tutti sempre più isterici, io non ero preoccupata per lei. Non mi sfiorava neanche il dubbio che potesse toccarle la stessa sorte di Cody. Pensavo, anzi ne ero certa, che fosse solo uno scherzo ben congegnato. Lei stava osservando tutto, i poliziotti nella divisa con le spalline d’oro intrecciate, il personale del resort in stato di agitazione, tutta la messinscena che aveva messo in piedi, ridendosela da qualche trespolo nascosto. No, a terrorizzarmi non era il destino di Alison ma la paura dei miei genitori. La loro distrazione, il loro tormento, fecero vacillare le fondamenta di un mondo che, fino ad allora, mi era sembrato perfettamente stabile.
Gli altri ricordi di quei giorni sono più confusi. Hanno la consistenza di un delirio febbrile – nebbiosi e privi di logica, un mondo vorticoso che concede solo fugaci sprazzi di nitidezza cristallina. Di notte dormivo tra i miei genitori, la mano di mio padre misurava ogni mio respiro. Mi tornano in mente le parole che disse al dottore. “Se pensa che perderemo di vista nostra figlia.” Ho ricordi del capo della polizia che interroga i miei genitori, e di mamma che gli racconta del ragazzo biondo che aveva puntato mia sorella. Quando parla, il suo sguardo si fa selvaggio e inquieto. Il tono della voce cambia a ogni parola, diventando aggressivo, distaccato, poi di nuovo aggressivo. Non capisco molto bene quello che dice, di cosa starà accusando il ragazzo della partita di pallavolo. So soltanto che mamma si sta trasformando, sotto i miei occhi,