Aprii Facebook e digitai Clive Richardson. C’erano decine di profili, ma trovai quello che cercavo. Come foto aveva un selfie sfocato dal fascio di luce di una lampada alle sue spalle. Non era molto attivo, non aveva postato altre foto e aveva solo due amici. Il primo era un certo Ousseini. Lui sì che si dava da fare sui social: la sua timeline era piena di foto di famiglia e citazioni illuminanti su sfondi di tramonti e montagne. L’unico post di Clive erano gli auguri di compleanno all’altro amico, un certo Bryan Richardson. Risaliva a molti anni prima ed era scritto alla maniera di chi non ha ben capito il funzionamento dei messaggi sulla piattaforma: Caro Bryan, tanti auguri di buon compleanno. Con affetto, Clive. Magari Bryan Richardson era un parente, ma non assomigliava affatto a Clive, era alto e snello; nella foto profilo indossava un abito sartoriale e sedeva davanti a una tastiera, le mani sfioravano i tasti con leggerezza.
Edwin Hastie non aveva un profilo. Una rapida ricerca su Google restituì solo vecchi articoli sul caso di Alison. Poi, digitai Alison Thomas e subito spuntarono le opzioni di autocompletamento:
Omicidio Alison Thomas
Alison Thomas Divertirsi da morire
Alison Thomas necrologio
Non avevo mai letto il necrologio di mia sorella. Ero troppo giovane quando venne pubblicato e, anche se negli anni successivi avrei potuto recuperarlo facilmente online, non lo avevo mai cercato. Certo, ci avevo pensato. Ma dai miei avevo imparato a non scavare troppo in profondità. Cliccai sul link e lessi il breve avviso del quotidiano locale.
Alison Brianne Thomas, diciotto anni, è morta il 3 gennaio, durante una vacanza di famiglia sull’isola di Saint X. Era nata l’8 settembre 1977, da Richard (Rick) ed Ellen (Wolfe) Thomas. Alison era un’artista di talento e un’atleta cha amava la danza moderna, il nuoto, il tennis e la natura incontaminata. Scienziata in erba, ambiva a una carriera da medico e aveva da poco completato il suo primo semestre a Princeton. La sua vita si è interrotta troppo presto, ma ha vissuto ogni momento al massimo donando tantissima gioia ad amici e familiari.
Lascia i genitori e la sorella minore, Claire, i nonni Sylvia, Edward, Jean e Fred, e la bisnonna Helen.
Una vita, ridotta a quelli che erano i fatti più essenziali e insignificanti. Mi sorprese leggere che Alison ambiva a una carriera nella medicina. Non ricordavo che avesse mai espresso il desiderio di diventare medico. A pensarci bene, non ricordavo che avesse mai esternato alcuna inclinazione verso un percorso professionale specifico. Magari all’epoca ero solo troppo giovane per badare a certi aspetti della vita, eppure qualcosa non mi tornava. In quelle parole c’era un che di menzognero. Chi aveva scritto il necrologio? Mio padre, probabilmente. Magari voleva convincere il mondo che mia sorella era più inquadrata, più matura di quanto non fosse in realtà. Questa sì che era una ragazza con la testa sulle spalle! Ma sospetto che ci fosse qualcosa di più profondo in ballo: grazie a quel rapido accenno alle sue ambizioni, da diciottenne qualsiasi Alison si trasformava in una studentessa di medicina, poi in una specializzanda, in una borsista e in seguito in primario di Cardiologia pediatrica al Brigham e al Women’s Hospital. Ambiva a una carriera nella medicina. Dichiarazione mendace, ma necessaria. Piangere la morte di un medico in erba era un compito ingrato, ma tutto sommato sopportabile. Piangere una ragazza che davanti a sé aveva una serie di futuri imprevedibili avrebbe significato piangere per sempre.
Qual è la nostra esperienza neurologica di una persona? Quando pensiamo a qualcuno, quali suoni, immagini, odori ci vengono in mente? Per esempio, per me, mio padre sarà sempre chinato sulle sue violette africane nel giardino di Pasadena, ad accertarsi che non ci siano afidi. La mia amica d’infanzia Kelsey Johnston è legata alla singolare puzza di prosciutto delle sue scoregge. Zia Caroline mi ricorda le radici grigie sulla nuca di un collo lungo, aggraziato.
Alison è fiori e denti bianchi. So a quando risale questa immagine. Al saggio di danza del liceo, l’ultimo anno. Volteggiava sul palco indossando un body grigio tortora e una vaporosa gonna di chiffon. Non conosco il titolo della canzone su cui danzò, ma ne ricordo la melodia malinconica. Guardarla era come guardare la musica stessa che roteava e si librava nell’aria. Sentivo nel profondo le emozioni che le trasmetteva, mentre diffondeva nell’auditorium un niveo sentore di nostalgia. Ricordo che rimasi seduta lì, scrutavo le altre persone in platea che l’ammiravano. Mia sorella. Mia.
Più tardi, nel foyer dell’auditorium, i nostri genitori, Drew McNamara e