non voltarti. Ecco cosa avrebbero voluto.
“Emily?”
Annuii. Non riuscivo a guardarlo.
“Spero che non abbia aspettato tanto.”
“Per niente.”
Tirò fuori il telefono dalla tasca.
“Grazie, grazie mille. Non può immaginare quanto le sia grata.” Presi i venti dollari e glieli offrii.
“Non posso accettarli.” Parlava sottovoce, come se temesse di offendermi con il suo rifiuto.
“La prego, li prenda,” insistetti.
“Preferirei di no.”
“Ne è proprio sicuro?”
“Sì, signorina.”
Signorina.
Alzai la testa e per la prima volta i nostri sguardi s’incrociarono. Clive Richardson doveva avere più di quarant’anni ormai, e li dimostrava tutti – i capelli avevano già iniziato a ingrigire e la fronte era segnata da rughe profonde. Tremavo. Avevo la mascella così serrata che dopo mi avrebbe fatto male. Allo stesso tempo, la mia mente era come in preda agli spasmi e cercava invano di capacitarsi che quell’uomo qualunque di fronte a me, con la giacca a vento e i mocassini neri, fosse proprio lui.
Riposi i soldi in tasca. “D’accordo.”
Restammo a fissarci imbarazzati. Il momento mi stava sfuggendo. Possibile che non avrei fatto niente? Che lo avrei lasciato andare e basta? Ma cos’altro avrei potuto fare? Persino mentre me lo chiedevo, continuavo a ripetere: “Grazie ancora. Le sono molto grata,” e Clive Richardson mi rispondeva che era una sciocchezza, e poi mi ritrovai ad augurargli la buonanotte. Le campanelle sulla porta del Little Sweet risuonarono quando la aprì ed entrò. Io mi voltai e allungai il passo. Gli occhi pieni di calde lacrime pungenti. Era successo tutto troppo in fretta. Non ero pronta, avevo mancato un’occasione. L’occasione per cosa, poi, non lo sapevo neanche io, ma ero sopraffatta dalla delusione per aver sprecato quella straordinaria congiuntura e, soprattutto, dall’impressione che quel fallimento racchiudesse l’essenza di ciò che ero: una persona che si lascia scivolare le cose tra le mani.
Quella notte sognai di uscire e imbattermi in una scalinata di pietra al centro della strada, in discesa. Solo i primi gradini erano visibili. Dopodiché, sparivano nel buio sotterraneo della città. Le scale non finivano mai e io le percorrevo per quella che sembrava un’eternità, nell’oscurità più totale, gradino dopo gradino dopo gradino; giù, sempre più giù, fino a ritrovarmi su una spiaggia. Sabbia bianca, palme sinuose, acqua verde menta. Era sempre stato lì – quel posto, quel passato, in attesa del mio ritorno. (Nel sogno sapevo di essere di nuovo Clairey, una bambina.) Poco lontana, ferma sul bagnasciuga, le caviglie accarezzate dalle dolci onde, c’era Alison. Mi dava le spalle con lo sguardo perso in lontananza. Quando la raggiungevo, mi sorrideva e io le restituivo il sorriso. Poi si portava un dito alle labbra. Shh. È un segreto. Gettava indietro la testa e cominciava a ridere.
Mi svegliai in un bagno di sudore e in preda ai rimorsi – non mi capitava quasi mai di sognarla e avevo rovinato tutto, scacciandomi dal sogno troppo presto. Per la prima volta dopo mesi, tirai fuori le foto dalla scatola di scarpe. Dovevo dirle cosa mi era successo e quanto mi ero sentita impotente mentre ringraziavo Clive Richardson e me la filavo. Lui era sempre stato lì, per tutto quel tempo. Com’era possibile che non lo avessi capito, che non ne avessi avvertito la presenza?
Ed eccola, Alison, brunita dal sole e tutta contenta davanti all’aragosta gigante ordinata per cena. O mentre cantava durante la grigliata in spiaggia. Raggiante al mio fianco, sotto l’ombrellone azzurro cencioso. Però, che bambina paziente. Le foto sembravano infiammabili, come se potessero prendere fuoco tra le mie mani. Era sul paddleboard, brindava con mia madre o ascoltava musica all’ombra. In bikini, appoggiata alla palma con le mani sui fianchi e il sale tra i capelli, lo sguardo rivolto alla spiaggia. Quella l’aveva scattata papà. Io ero rimasta ad ammirare Alison mentre posava per lui. Ora, scorrendo le foto per l’ennesima volta, colsi un dettaglio mai notato prima. In spiaggia, così distanti sullo sfondo che i corpi erano ridotti a minuscole sagome sfocate, c’erano Edwin Hastie e Clive Richardson.
Percepii anche qualcos’altro. L’imperturbabilità negli occhi di Alison. Sembrava visualizzare Faraway Cay sapendo già, nelle pieghe di ogni momento, mentre nuotavamo e ridevamo e cercavamo di annodare i gambi delle ciliegie al maraschino con la lingua, che avrebbe attraversato quel calmo mare ceruleo fino all’isola. Mi ritrovai a pensare che in fondo non conoscevo così bene mia sorella.
Il giorno dopo, al lavoro, ero distratta e irrequieta. Rilessi la stessa frase più volte senza coglierne il senso. La foto che mio padre aveva scattato ad Alison mi attanagliava i pensieri. Per chi si era messa in posa veramente?
Alla fine, lasciai perdere il lavoro.