una volta sola, anni fa, ma avevo dimenticato tutto. Stavo facendo le pulizie, cercavo di sistemare la libreria e…”
“Mamma.”
“Sì?”
“Stavo pensando. Hai presente i diari di Alison?”
“Sì?”
“Ti dispiacerebbe spedirmeli?”
Seguì un secondo di silenzio. “Certo, tesoro,” disse infine. “Ne faccio delle copie e le infilo nella posta il prima possibile.”
Sapevo che non mi avrebbe chiesto spiegazioni, né cos’era successo e quali pensieri e sentimenti si celavano dietro la mia richiesta. E io non mi ero neanche degnata d’inventarmi una scusa preconfezionata. Un po’ indelicato da parte mia, lo riconosco, di certo la mia richiesta l’aveva allarmata e avrei potuto benissimo inventarmi qualcosa per placare le sue ansie, eppure non lo feci. Ma dovete capire che fa un male cane. Nessun “Tesoro, ne sei sicura?”. Niente “Credi sia la cosa giusta?”. Mia madre si rintanava nella sua fragile dolcezza e io la odiavo per la protezione paradossale che proprio quella fragilità le garantiva.
Era una sera fredda, serena. Clive uscì dal Little Sweet e s’incamminò verso est per un po’, prima di fermarsi di colpo. Alla luce di un lampione, diversi ragazzini, un’onda di magliette svolazzanti, giocavano a basket in un campetto recintato da una rete metallica. Un po’ in disparte, alcuni bambini sui cinque o sei anni erano impegnati nella loro partitella. Clive appoggiò le mani alla rete e restò a guardare. Perché quella scena lo catturava tanto? Mi tenni a distanza di sicurezza e lo scrutai mentre osservava quei ragazzini. Sembrava che si muovessero a scatti, tra fisicità e delicatezza, le due forze trattenute da una precaria tensione. Un momento prima uno di loro eseguiva con eleganza un doppio palleggio tra le gambe, e quello dopo si scagliava contro un difensore. Uno dei più piccoli ne imitò i movimenti, poi lasciò perdere la partita e si chinò incuriosito verso un trifoglio che spuntava tra le crepe dell’asfalto. Un uomo in tuta mi passò davanti spavaldo, tra le sue braccia una bimba in tutù dormiva esausta. A bordocampo un ragazzo, ancora in uniforme scolastica, staccò un pezzetto di gomma da un pacchetto di stagnola e lo posizionò audacemente, ma con esitazione, sulla lingua agognante di una ragazza.
C’erano anche altre ragazze e donne fatte, naturalmente. Tornavano a casa dal lavoro con indosso completi e tacchi a spillo, o con il camice. Mamme con i bambini. Sciami di ragazzine con gli strass cuciti sulle tasche posteriori dei jeans. Ma io ero concentrata perlopiù su ragazzi e uomini. Ammetto di non aver mai pensato più di tanto alla vita interiore degli uomini. D’altra parte, avevo una sorella maggiore. Allora mi fu chiaro che con i miei vari fidanzati non avevo mai scavato troppo a fondo per scoprire chi fossero davvero. Forse volevo evitare che il loro dolore entrasse in competizione con il mio; forse la mia storia, la mia tragedia, esercitava un potere minaccioso su di loro e la cosa mi piaceva. O forse sapendo che un uomo, o più uomini, avevano ucciso mia sorella, avevo paura di quello che avrei potuto scoprire avvicinandomi troppo – gentilezza che sfociava in vergogna che sfociava in collera; desideri turpi, incontrollabili – indizi che rischiavano di alludere all’esistenza di una mascolinità tossica universale di cui non volevo sapere nulla, perché mi avrebbe condannato alla solitudine eterna.
Clive riprese a camminare. Si fermò davanti a un chiosco di giornali e ordinò una tazza di caffè, che sorseggiò dirigendosi a nord. Pochi minuti dopo, senza perdere il ritmo, versò i fondi del caffè per strada con un movimento del polso rapido, disinvolto.
Il materiale su Alison era un pozzo senza fondo, tanto da farmi pensare che non ce l’avrei mai fatta ad arrivare alla fine. Le informazioni su Clive Richardson e Edwin Hastie, in confronto, erano scarse. Un giorno dissi al capo che avevo bisogno di consultare gli archivi della biblioteca di New York, per verificare alcuni dettagli della costa della Cornovaglia descritta ne La ragazza di Pendeen, e trascorsi il pomeriggio nella sala principale, cercando nel catalogo un qualsiasi accenno a Clive e Edwin. La prima scoperta fu un testo accademico. Viaggi nel buio: tanaturismo, teoria e pratica.
CONTENUTI
PRIMA PARTE: ASPETTI DEL TANATURISMO
Mediazioni: i vivi e i morti negli spazi pubblici
Sfruttare il macabro: considerazioni etiche
Kitschificazione e consumo di massa
Ospitalità in luoghi ostili: verso un nuovo modello
SECONDA PARTE: FORME E FUNZIONI
Turismo dei genocidi
Turismo degli omicidi
Turismo delle calamità
TERZA PARTE: FUTURI INDIRIZZI DELLA RICERCA
Con mia grande delusione, il volume conteneva solo un brevissimo passaggio interessante, tratto dal capitolo “Turismo degli omicidi”:
Mentre il turismo dei genocidi è generalmente organizzato dai governi e dalle istituzioni no-profit, il turismo